Le rimanenze rappresentano costi sospesi stanziati nello stato patrimoniale dell’impresa in attesa di divenire costi di periodo (appartenenti al conto economico) nell’esercizio in cui i beni vengono ceduti. Le rimanenze sono valutate in bilancio secondo regole diverse, a seconda che esse siano intercambiabili (criteri: lifo, fifo, media ponderata) o meno (criterio del costo specifico). In linea di massima i valori fiscali corrispondono ai valori di bilancio.
Vi sono casi particolari in cui detta coincidenza viene meno. Ciò si verifica quando il criterio di valutazione applicato in bilancio non rientra tra quelli citati (ad esempio nel caso dell’applicazione del valore costante applicato per le minuterie). In questo caso occorre confrontare il valore di bilancio con il criterio lifo a scatti annuale (art. 92 c. 1, 2 e 3 Tuir), che costituisce il valore minimo fiscalmente riconosciuto dal legislatore tributario.
Altro caso in cui le regole di bilancio divergono dalle regole fiscali è quello della svalutazione del magazzino (infatti è diverso il valore desumibile dall’andamento del mercato indicato nell’art. 2426 c. 1, n. 9, c.c., dal valore medio dei beni nell'ultimo mese dell'esercizio). Il ripristino del valore del magazzino al valore di costo, disciplinato dal codice civile rileva ai fini fiscali (CM n. 73/1994, par. 3.26).
Costituiscono principi comuni contabili e fiscali i seguenti:
In merito a quest’ultimo principio desta perplessità la sentenza della cassazione n. 11748/2008, dove è chiarito che non è altrettanto vero che la rimanenza iniziale di un certo periodo d’imposta (definito a seguito di un accertamento per adesione) debba corrispondere al valore delle rimanenze finali dell’esercizio precedente (determinato dall’ufficio per effetto di un accertamento analitico-induttivo).