È illegittima la rettifica dei ricavi per differenze inventariali se per la mole dei volumi trattati dal contribuente potrebbe essersi verificato un errore umano nella quantificazione.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 439 dell’11 gennaio con cui ha accolto sul punto il ricorso incidentale proposto da una società che aveva denunciato come l’ufficio si fosse limitato a riprendere a tassazione le differenze negative rilevate, senza considerare la marginalità delle quantità rispetto al volume d'affari della società e senza operare alcuna compensazione delle differenze di segno negativo con quelle di segno positivo. Secondo la contribuente la presunzione di cessione dei beni acquistati, ma non rinvenuti nei luoghi in cui il contribuente esercita l'attività, posta dall'art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972 sarebbe una presunzione iuris tantum, e potrebbe essere vinta con qualunque mezzo di prova, anche con semplici presunzioni come ad esempio la trascuratezza dei valori e l’errore umano la cui rilevanza era stata totalmente esclusa dalle sentenze di merito senza alcuna motivazione giuridica e logica.