A carico del promotore finanziario monomandatario non sono accertabili ricavi in nero per lo scostamento dagli studi di settore. Ciò in virtù della specifica disciplina contrattuale intercorrente con l’istituto di credito mandante e del vincolo di esclusività che lo caratterizza. Il tutto comprovato dalla produzione, da parte del contribuente, di traccia dei pagamenti e del contratto.
Lo ha stabilito la Cassazione con ordinanza 21295 del 29 agosto con cui ha accolto il ricorso di un contribuente che aveva denunciato omessa valutazione da parte della Ctr delle specifiche caratteristiche di svolgimento dell’attività. Sul punto sia la Ctp che la Ctr avevano solamente ridotto i maggiori ricavi accertati dall’Ufficio alla luce dei parametri di cui all’art. 3, comma 184 della legge 549/1995 e relativi decreti ministeriali.
I giudici di legittimità hanno invece accolto il ricorso evidenziando le peculiari caratteristiche dell’attività del contribuente esercente l’attività di promotore finanziario monomandatario per conto di una banca, con vincolo di esclusività e retribuito con provvigioni liquidate in base a percentuali predeterminate dal contratto oltre che attestate dalla certificazione annuale rilasciata dall’istituto mandante.
Nel caso di specie la Ctr non aveva in alcun modo considerato tali elementi basando la propria decisione (di annullamento parziale dell’accertamento) esclusivamente sul generico argomento della crisi del settore finanziario a seguito degli attentati terroristici del 2001.
Sul punto si ricorda che la Cassazione ha da sempre sostenuto che è illegittimo l’accertamento da studi di settore a carico dell’impresa che si trovi in una situazione di non normale svolgimento dell’attività per operare con un solo committente (cfr., da ultimo, ord. 28702/2017).
In tema di situazioni anomale si segnala anche l’ordinanza 28563 del 2017 con cui la Cassazione ha stabilito che è nullo l’accertamento che si fonda sugli studi di settore quando la società ha come cliente solo la pubblica amministrazione. Di fronte a una tale giustificazione da parte del contribuente l’Agenzia delle Entrate deve prendere atto che il reddito di impresa è senz’altro più basso rispetto a quello di chi fornisce i privati.