Scatta il sequestro di pc e supporti informatici del tributarista perché non c’è alcuna violazione del segreto professionale dal momento che tale figura non rientra in alcuna delle categorie di professionisti cui la legge riconosce tale facoltà.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 14082 del primo aprile con cui ha rigettato il ricorso di un professionista che, dopo la restituzione degli apparati hardware disposta dal Tribunale del riesame, chiedeva la restituzione anche dei dati acquisiti in copia attraverso il sequestro di materiale informatico.
Il collegio di legittimità dichiara inammissibile il ricorso dell’indagato accusato di esercizio abusivo della professione e anche di altri reati (truffa, appropriazione indebita): oggetto di sequestro, il materiale usato nello studio professionale del ricorrente che il ricorrente, insieme con la moglie e una collaboratrice, tentarono di occultare all’autorità giudiziaria.
In particolare l’indagato opponeva il segreto professionale imposto al tributarista dall’art. 7 del condice deontologico.
Secondo la Cassazione quella del tributarista è professione atipica, non coincidente con quella del commercialista, in quanto non appartenente allo stesso Ordine professionale e prevista da disposizioni che, al contrario, rendono esplicita la mancanza di qualsivoglia possibilità di opporre segreti. Infatti, l’articolo 7 del codice deontologico prevede che costituiscono eccezione alla regola generale i casi in cui la divulgazione di alcune informazioni relative alla parte assistita sia richiesta dall’autorità giudiziaria e/o ricada nella normativa antiriciclaggio. Inoltre, la stessa legge richiamata dal ricorrente (l. 4/13) non prevede deroghe in tal senso non incidendo affatto sulla disciplina del segreto professionale né prevede che il codice di autoregolamentazione possa introdurre norme specifiche.
Del resto la predetta legge, secondo cui le associazioni professionali delle categorie non aventi un albo promuovono il codice di condotta, adottato ai sensi dell’articolo 27 bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 206/05, detta una norma di comportamento applicabile nei confronti dei terzi e non già dell’autorità giudiziaria.