Non è elusiva l’operazione con cui, poco prima di cedere le azioni, si proceda ad una loro rivalutazione in modo da versare l’imposta sostitutiva piuttosto che pagare le imposte sui dividendi.
Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 24839 del 6 novembre 2020 con cui ha accolto il ricorso incidentale di un contribuente.
Secondo la Cassazione in termini generali, si configura l’abuso del diritto «nell’operazione che abbia quale suo elemento predominante e assorbente lo scopo di eludere il fisco, ossia quella che non abbia una giustificazione economica apprezzabile differente dall’intento di conseguire un risparmio di imposta». In particolare, «la ricostruzione elusiva delle operazioni messe in atto dal contribuente, prospettata dall’Agenzia e accolta dal giudice tributario di merito, sarebbe fondata sulla tempistica della cessione delle azioni (due giorni prima della distribuzione dei dividendi già deliberati) e sulle modalità di pagamento del corrispettivo, vale a dire il versamento in corrispondenza della distribuzione dei dividendi». La commissione regionale non ha tenuto conto di tali aspetti ed era necessario, per inquadrare le operazioni di cessione delle quote di partecipazione nelle società, comprendere le altre eventuali finalità perseguite dal contribuente.
Sul punto si ricorda un precedente conforme, relativo ad una fattispecie analoga di rivalutazione delle partecipazioni seguita dalla cessione delle stesse.
Secondo Cass. 7359/2020, infatti, va considerato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità riguardo al riparto dell'onere della prova in tema di elusione fiscale, laddove, mentre incombe sull'Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire al risultato d'indebito vantaggio fiscale (cfr., tra le altre, Cass. n. 16217/2018; 9610/2017 e 5090/2017), spetta al contribuente dimostrare l'esistenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l'operazione, che possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda (in tal senso cfr. Cass. n. 4604/2014 e 1372/2011).
In quel caso oltre alle esigenze di ristrutturazione che miravano a separare l’attività gestionale rispetto alla proprietà del patrimonio aziendale, non c’era stato l’aggiramento di alcun divieto tanto più che la rivalutazione delle partecipazioni era avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative.