Grazie alle fatture, i professionisti dello studio associato provano che una parte dei ricavi si riferisce ai compensi percepiti in qualità di sindaci di società, distinguibili da quelli legati all’attività di commercialisti o di avvocati e, dunque, non imponibili ai fini Irap.
A sancirlo è la Cassazione con l’ordinanza 7182 del 15 marzo 2021 con cui ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle entrate.
La vicenda parte da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate recuperava anche l’Irap ritenendo sussistente l’autonoma organizzazione.
I professionisti erano convinti di aver diritto alla deduzione dei costi e di non disporre di un’autonoma organizzazione perché, come dimostravano le fatture esibite in giudizio, una parte dei ricavi accertati faceva riferimento ai compensi percepiti a titolo di sindaci delle società e, dunque, non assoggettabili all’Irap. A confermare la tesi di commercialisti e avvocati è la sentenza della Ctr Lombardia che escludeva l’assoggettabilità dei predetti compensi ritenendoli redditi assimilati a lavoro dipendente ai sensi dell’art. 49 Tuir.
Col ricorso in Cassazione l’Agenzia delle entrate deduce violazione di legge, ritenendo che l'assimilazione al lavoro dipendente è espressamente esclusa se l'attività di sindaco o amministratore «rientra nell'oggetto dell'arte o professione esercitata dal contribuente», circostanza questa che ricorre nel caso di specie in cui ad esercitare l'attività di sindaco o amministratore sono professionisti iscritti nell'albo dei commercialisti ovvero degli avvocati. Inoltre, secondo l’Agenzia, la non imponibilità ai fini Irap dei compensi percepiti in qualità di amministratore o di sindaco di società deve essere subordinata alla condizione che detti compensi non siano conseguiti (e quindi l'attività esercitata) mediante l'utilizzo della propria autonoma organizzazione, circostanza che la Ctr ha omesso di appurare.
Nel rigettare il ricorso la Cassazione ricorda che in tema di Irap, non realizza il presupposto impositivo l’esercizio dell'attività di sindaco e di componente di organi di amministrazione e controllo di enti di categoria, che avvenga in modo individuale e separato rispetto a ulteriori attività espletate, senza ricorrere ad un'autonoma organizzazione (cfr. Cass. 19327/2016).
Secondo il recente orientamento di legittimità, quindi, il dottore commercialista che svolga anche attività di sindaco e revisore di società non soggiace ad IRAP per il reddito netto di tali attività, in quanto soggetta ad imposizione è unicamente l'eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata (Cass. 16372/2017), fermo l'onere del contribuente di provare la separatezza dei redditi di cui predica lo scorporo (cfr. Cass. 17987/2019 e 12495/2019).
Nel caso di specie, tenendo conto che i contribuenti avevano dimostrato, mediante l'esibizione delle relative fatture, di avere percepito compensi per gli incarichi derivanti dall'attività di sindaco svolti presso varie società, da distinguere da quelli derivanti dall'attività di commercialisti o di avvocati, hanno correttamente ritenuto di dover escludere dalla base imponibile Irap tali compensi perché derivanti da incarichi svolti separatamente dall'attività prestata per l'associazione professionale.
Inoltre non risulta dalla sentenza impugnata, né dal ricorso per cassazione che l’Agenzia delle entrate abbia provato o chiesto di provare, «come era suo onere, trattandosi di avviso di accertamento e non di richiesta di rimborso di imposta, alcuna ipotetica o anomala “torsione” delle funzioni tipiche di sindaco verso forme di etero-integrazione tra le compagini sociali sindacate e l’auto-organizzazione collettiva esterna dello studio associato.
Il collegio, in conclusione, rigetta il ricorso e condanna l’amministrazione al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.